
Partiamo dalla domanda provocatoria posta dal bambino del nostro slogan:
“Ma è vero che l’arte esiste solo nei musei?”.“No!”
Che l’arte non sia più unico appannaggio dei musei è una realtà già da tempo. Essa infatti si è aperta a innumerevoli luoghi di fruizione non convenzionali. Un cambiamento epocale iniziato nel XX secolo che ha portato l’arte fuori dagli spazi ufficiali (musei, gallerie, salons), arrivando a proiettarla nello spazio pubblico.
“Ma forse”, come sottolinea Alessandro Tempi ne La società dell’arte. Saggi di sociologia dell’arte moderna,“c’è un’altra cosa che è cambiata, una cosa dalle conseguenze enormemente più gravi: l’immagine artistica non serve più ad elaborare l’immaginario dell’individuo. Per secoli essa ha raccontato storie sacre e profane, è stata l’unico sapere condiviso da individui incolti e oppressi. Oggi essa sembra aver perso questo potere e forse l’ha solo consegnato, volente, o no, ad altre forme di virtualità: il cinema, la moda, la pubblicità, il design.”, ma potremmo aggiungere da tutte le immagini, video, storie presenti online.
“Èquesto il nuovo sapere oggi. Sono questi i nostri narratori di storie, i padroni dispensatori del nostro immaginario. In confronto ad essi, l’arte può ben poco. Perché l’arte si è sicuramente affrancata dalla società, non è più l’ancella della religione e del potere, ma da questa liberazione che cosa che cosa ha ricevuto in cambio? Di diventare un mondo a parte, inarrivabile e, in molti casi, incomprensibile. E ciò le ha causato l’oblio nel cuore degli uomini”.
Quest’ultima frase così lapidaria, ha fatto scattare in noi un desiderio profondo: riavvicinare l’arte al cuore della gente.
Per questo mettiamo a disposizione uno spazio di convivialità, uno spazio in cui sia vivo il dialogo tra artisti e pubblico, in cui le opere stesse siano promotricidi una nuova socialità.
In tal sensola metafora della casa dell’artista calza a pennello perché vogliamo che artisti e ospiti si sentano come a casa, una casa in cui poter condividere idee, progetti, passioni, allontanandosi per un po’ da quelle forme di virtualità che tendono spesso ad isolarci.
Silvia Liberti